“Fino all’osso” (USA 2017, di M. Noxon con K. Reeves, Lily Collins)
Ellen (Lily Collins) è una ventenne che soffre di anoressia da anni. I genitori sono divorziati, il padre sempre via per lavoro; dopo che la madre e la sua compagna hanno rinunciato a occuparsi di lei, sopraffatte dal senso di impotenza, a prendersene cura sono la nuova moglie del padre, Susan, e la sorella.
E’ Susan a spingerla a tentare l’ennesima terapia affidandosi al dottor Beckham (Keanu Reeves), che la accoglie in un centro di riabilitazione per adolescenti con disturbi alimentari dove sei ragazze e un ragazzo, Luke, condividono la loro quotidianità, affrontando (faticosamente) i pasti e gli altri momenti della giornata.
Ellen si lega a Luke e giorno dopo giorno segue il percorso di cura, mentre emergono le storie complicate degli altri ospiti. Quando Ellen incontra la sua famiglia in un colloquio di gruppo col dottor Beckham si palesano le incongruenze e le mancanze della famiglia allargata, ma anche la profonda sofferenza di ognuno di loro, dalla madre, provata dalla depressione post-partum e da numerosi “esaurimenti”, alla sorella, che sente di vivere all’ombra della malattia di Ellen.
Tra assenze (il padre è altrove per lavoro) e presenze problematiche, si fa evidente la dimensione di confusione nella quale Ellen è cresciuta e il contesto nel quale si è sviluppato il suo disturbo.
“Fino all’osso” non ha la pretesa di fotografare con precisione il tema dei disturbi alimentari e della loro cura: non è un documentario, ma un film che sceglie di raccontare una tematica difficile e complessa con un tono a tratti ironico e con alcune semplificazioni e approssimazioni legate a esigenze narrative. La “terapia” messa in atto dal carismatico e anticonformista dottor Beckham, per esempio, appare poco plausibile, e anche le dinamiche intrafamiliari sono tratteggiate in maniera a volte schematica e semplicistica.
Se corre il rischio di banalizzare il tema dell’anoressia, il film ha però il merito di parlare di un disturbo grave e complesso con una certa credibilità, soprattutto grazie all’interpretazione intensa della protagonista e di evidenziare il ruolo della famiglia e l’importanza di stabilire un’alleanza terapeutica con psicologi e medici curanti per poter affrontare davvero la situazione.